IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE
Menù:
1. Introduzione
2. Le strategie del maligno
3. Le strategie del tentatore
4. Le tre "passioni madri"
5. I sette vizi capitali
SCHEMA SINTETICO DEI COMBATTIMENTI SPIRITUALI
Desideri della carne → portano alla morte
Desideri dello spirito → portano
alla vita e alla pace
L’uomo:
Deve lottare
senza sosta contro il male per restare unito al bene (CCC 409)
Il
combattimento e la vittoria sono possibili solo nella preghiera
Strategie del demonio:
a) Propone
Dio come colui che pone divieti
b) Usa
menzogna e falsità
c) Divide
l’uomo da Dio
d) Porta
alla tiepidezza spirituale
e) Induce
a devozioni senza crescita spirituale
f) Trasforma
lo zelo apostolico in appagamento spirituale
g) Trasforma
in giustizieri senza misericordia
La lotta deve debellare i cattivi pensieri per non farli penetrare:
a) Suggestione
b) Avvicinamento
c) Consenso
d) Prigionia
Le tentazioni dell’uomo sono le stesse di Gesù nel deserto
a) Trasforma
pietre in pane (la nostra vita non dipende solo dai bisogni umani ma
soprattutto spirituali)
b) Gli
mostrò tutti i regni in un attimo (volere tutto e subito, vincere la tentazione
sviluppando la virtù della pazienza)
c) Gettati
giù … gli angeli ti custodiranno (Dio non è a nostra disposizione per
soddisfare tutte le nostre attese)
Nessuno è esente dai vizi capitali:
1) Gola
2) Lussuria
3) Avarizia
4) Ira
5) Accidia
6) Superbia
7) Invidia
Le tentazioni si vincono:
a) Lettura
Sacra Scrittura
b) Guida
spirituale
c) Preghiera
d) Vita
comunitaria
e) Non
fuggire davanti alla crisi
f) Assidua
vita sacramentale
1. Introduzione
Entriamo quest’anno in
un’altra tappa dell’itinerario di crescita per un discepolato carismatico ed affrontiamo un
tema fondamentale nel cammino di fede: quello del combattimento spirituale.
Quello della lotta spirituale è un tema affrontato e approfondito dai Padri della
Chiesa i quali dicevano che bisogna lottare fino all’ultimo respiro contro il
maligno per conseguire la vita eterna. Non c’è quindi una autentica vita nello
Spirito senza una costante lotta contro il male che è in noi e fuori di noi “Io so che in me nella mia carne non abita
il bene; in me c’è il desiderio del bene ma non la capacità di attuarlo. Infatti
non compio il bene che voglio, ma il peccato che non voglio.” (Rm 7,18-19). L’uomo quindi si trova in sé stesso diviso e
la sua vita si presenta come un combattimento una lotta drammatica tra il bene
e il male, tra la luce e le tenebre, tra le opere della carne e quelle dello
Spirito. “La carne tende alla morte mentre
lo Spirito tende alla vita e alla pace” (Rm 8). Questo combattimento ha un
avversario da combattere che è “il peccato che ci assedia”. Ci chiediamo
allora: Perché? Da dove viene il male? Dice S. Agostino: Mi chiedevo donde il
male? e non sapevo darmi risposta, e la sua sofferta ricerca non troverà sbocco
che nella conversione al Dio Vivente. Infatti il “mistero dell’Iniquità” si
illumina soltanto alla luce del “mistero della Pietà. Dobbiamo quindi
affrontare la questione del male tenendo lo sguardo fisso su Gesù Cristo che ne
è il vincitore. La realtà del peccato e in particolare del peccato delle
origini si chiarisce soltanto attraverso la rivelazione divina. Senza la conoscenza
di Dio che essa ci dà, si è tentati di spiegarlo come una debolezza
psicologica, errore, difetti di crescita. Soltanto conoscendo il disegno di Dio
sull’uomo si capisce che il peccato è un abuso di quella libertà che Dio dona
alle persone create perché possano amare Lui ed amarsi reciprocamente. Bisogna
conoscere Cristo come sorgente della Grazia per conoscere Adamo come sorgente
del peccato. E’ lo Spirito Paraclito mandato da Cristo Risorto che ”è venuto a convincere il mondo in quanto
al peccato” (Gv 16,8) rivelando colui che del peccato è il vincitore. La
rivelazione ci dà la certezza che tutta la storia umana è segnata dalla colpa
originale liberamente commessa dai nostri progenitori. Dietro questa scelta c’è
una voce seduttrice che si oppone a Dio la quale per invidia li fa cadere nella
morte. La Scrittura e la Tradizione ci insegnano che questa voce appartiene a
Satana. Questo è il peccato, una potenza personificata che opera nell’uomo e
per mezzo dell’uomo, una potenza che si esprime e prende forma nei singoli
peccati. Dopo questo primo peccato il mondo è inondato da un’invasione di
peccati. Basta guardare la storia della salvezza. La scrittura e la Tradizione
ci richiamano continuamente la presenza e l’universalità del peccato nella
storia. Tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo. S Paolo in Rm
5,19 “Per la disobbedienza di uno tutti sono
stati costituiti peccatori“. All’universalità del peccato e della morte si
contrappone l’universalità della salvezza in Cristo.
”Come per la colpa di
uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così per l’opera di
giustizia di uno solo si riversa su tutti la giustificazione che dà la vita.
“Laddove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia”. Exultet: ”O
felice colpa che ha meritato un tale e così grande Redentore. Dopo la caduta quindi
l’uomo non è stato abbandonato da Dio. Al contrario lo chiama e gli predice in
modo misterioso che il male sarà vinto e che l’uomo sarà sollevato dalla sua
caduta (Gn3,15) (Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la
sua stirpe, questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno).
Questo passo della Genesi è chiamato Protovangelo
poiché è il primo annuncio del Messia Redentore, di una lotta tra il serpente e
la Donna e della vittoria finale di un discendente. La Tradizione vede in
questo passo l’annunzio del nuovo Adamo che con la sua obbedienza fino alla
morte e alla morte di croce ripara sovrabbondantemente la disobbedienza di
Adamo. Inoltre numerosi Padri della chiesa vedono nella donna Maria la madre di
Cristo come la nuova Eva. Ella è stata la prima che ha beneficiato della
vittoria sul peccato riportata da Cristo perché preservata dal peccato
originale e durante la vita per grazia speciale ricevuta da Cristo non ha
commesso nessun peccato (CCC410-411).
Che Dio permetta il
male fisico e morale è un mistero che Dio illumina nel suo Figlio Gesù Cristo
morto e risorto per vincere il male. La fede ci dà la certezza che Dio non
permetterebbe il male se dallo stesso male non traesse il bene per vie che
conosceremo soltanto nella vita eterna. La conversione a Cristo, la nuova
nascita nel battesimo, il dono dello Spirito, l’Eucarestia ricevuta in
nutrimento ci rendono ”santi e immacolati
al suo cospetto” come dice S. Paolo in Ef1,4. Tuttavia la vita nuova
ricevuta nel Battesimo non ha soppresso la fragilità e la debolezza della
natura umana, né l’inclinazione al peccato che la tradizione chiama concupiscenza la quale rimane nei
battezzati perché sostengano le loro prove nel combattimento della vita
cristiana aiutati dalla grazia di Cristo. Si tratta del combattimento della
conversione in vista della santità e della vita eterna alla quale il Signore non
si stanca mai di chiamarci (CCC n.1426). Il combattimento e la vittoria sono
possibili solo nella preghiera che è un dono di Grazia e da parte nostra una
decisa risposta. Presuppone però uno sforzo, una lotta. Contro chi? Contro noi
stessi e contro le astuzie del tentatore che fa di tutto per distogliere l’uomo
dalla preghiera e dall’unione con il suo Dio. Si vive come si prega e si prega
come si vive. Se non si vuole vivere secondo lo Spirito non si può nemmeno
pregare nel suo nome. Il combattimento della vita nuova del cristiano è
inseparabile dal combattimento nella preghiera (CCC n2725). Il combattimento e
la vittoria sono possibili solo nella preghiera. E’ per mezzo della preghiera
che Gesù è vittorioso sul tentatore, fin dall’inizio e nell’ultimo
combattimento della sua agonia. Siamo quindi chiamati alla vigilanza e alla
perseveranza. Nella e dalla preghiera noi traiamo la forza che occorre per
combattere la nostra battaglia come leggiamo nella lettera agli Ef.6,10-18 “ Per il resto fratelli rafforzatevi nel
Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter
resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia non è contro la carne e
il sangue ma contro Principati e potenze, contro i dominatori di questo mondo
tenebroso, contro gli spiriti del male”. Nel libro della Gn 4,7b leggiamo “Il peccato è accovacciato alla tua porta;
verso di te la sua brama, ma tu dominalo“. Il credente quindi deve essere addestrato
alla battaglia. S. Paolo mette in guardia Timoteo: ”Combatti la buona battaglia con fede e buona coscienza poiché alcuni
che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede” (1Tm 1,18c-19). Nella
vita dell’uomo ci sono interferenze di presenze a cui l’uomo è sottomesso nella
misura in cui è debole, solo. La concupiscenza determina nell’uomo un vero e
proprio disordine interiore come dice S. Giacomo(4,1-4) “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non
vengono forse dalle passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni
di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non
riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete
e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.
Gente infedele, non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio?”. Il mondo ci sollecita sempre a perseguire mete
che non sono certo quelle dello Spirito, l’immagine, il potere, il denaro. Il
mondo non è sottomesso a Dio e quindi è soggetto di tentazione. La sorgente di
questa tentazione è satana. Chi invece si sottomette a Dio gode sempre della
sua Grazia. La Grazia è in noi ma chiede la nostra adesione. Gesù nel suo
Vangelo ci dice che nel mondo avremmo dovuto combattere e ricevere tribolazioni.
Il male si scaglia contro il cristiano. Nel libro del Siracide leggiamo “Figlio mio se vuoi servire il Signore
preparati alla tentazione”. E infatti le tentazioni si manifestano in
maniera differente rispetto al tempo in cui non avevamo aderito al Signore. Se
prima la tentazione cercava di scoraggiarci quando volevamo mettere ordine
nella nostra vita e soprattutto quando volevamo accostarci al sacramento della
riconciliazione adesso cerca di farci abbandonare la strada intrapresa. Ci
tenta in maniera subdola attraverso i peccati capitali. Per esempio la
vanagloria o la mania di protagonismo ci viene proposta dal tentatore come zelo
apostolico corrispondente al desiderio di metterci al servizio degli altri ma,
con una finalità tutt’altro che evangelica. E’ proprio per questo che la
Scrittura ci invita a crescere nella vigilanza spirituale e ad indossare
l’armatura di Dio per superare gli attacchi del nemico. Questa crescita
spirituale avviene come abbiamo detto attraverso la preghiera, l’ascolto della
Parola, l’abbandono confidente in Dio. ”Quindi
chi crede di stare in piedi badi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha finora
sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati
oltre le vostre ma, con la tentazione, vi darà anche la via d’uscita” (Cor10,12-13).
Il combattimento spirituale coinvolge sia la dimensione interiore dell’uomo sia
quella esteriore. Se il nostro nemico è il diavolo, il campo di battaglia è il
nostro cuore ed è questa la dimensione interiore. Il cuore è il centro della
persona, luogo dove albergano le passioni, luogo dove l’uomo lascia entrare le
potenze invisibili, le tenebre. E’ nel cuore, la parte più profonda dell’uomo
che è impressa l’immagine di Dio in noi e solo Lui lo conosce e lo scruta. Il
nostro cuore è quindi dimora di Dio e luogo dal quale sale la nostra risposta a
Dio tramite l’amore, fede, speranza, preghiera. E’ in questo spazio che Dio può
parlare all’uomo e invitarlo a dialogare con Lui. E’ qui che si situa
quotidianamente la scelta tra un cuore che ascolta e che lotta per far
fruttificare la Parola di Dio seminata in esso e un cuore insensibile alla
Parola che finisce per cadere nell’incredulità (durezza di cuore). Accogliendo
nel cuore la Parola di Dio che è “viva,
efficace, tagliente come una spada a doppio taglio” (Eb4,12) ci si apre
all’azione della Grazia. E’ essenziale ascoltare e accogliere la Parola perché
il Signore possa realizzare quanto dice: “Vi
darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno Spirito nuovo; toglierò da voi
il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez6,26). Il cuore diventa
quindi il luogo dove si scontrano le astuzie di satana e l’azione della Grazia
di Dio. La dimensione esteriore è invece quella che dicevamo prima che ci viene
dal mondo attraverso la ricerca del piacere, del denaro del potere. Gesù è
venuto a liberare l’uomo da tutte le forme di schiavitù, che derivano dal
peccato e dalle seduzioni del maligno, attraverso il dono dello Spirito ha reso
i credenti capaci di resistere alle sue insidie. “Siate temperanti e vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come un
leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistete, state saldi nella
fede” (1Pt 5,8-9°). La nostra lotta quindi come dice S. Paolo in Ef non è
contro creature di carne e sangue, non è contro le persone, finché lotteremo
contro i nostri fratelli continueremo a fare guerre, distruggeremo la nostra
vita e quella degli altri. Il nostro nemico è satana. Finché combatto gli altri,
la mia battaglia è sbagliata. La vera battaglia è contro la menzogna che ho nel
cuore perché satana è il menzognero, il divisore. Se non sono libero io dalle
tenebre, non sarò mai nella luce in nessun posto. Il nemico non è fuori ma
dentro le nostre fila, sono le cose che ho fatto entrare nel mio cuore che mi
avvelenano. Si può essere padroni del mondo e schiavi delle tenebre e non
godere di un solo momento di gioia perché tutto viene sporcato dalla menzogna
che porto dentro e con cui ho stabilito alleanze interiori pericolosissime.
Devo cambiare io, non l’altro. Io devo aprirmi alla Parola che mi libera
dall’infelicità che viene dalla schiavitù del peccato. Il maligno ha delle vere
e proprie strategie per incastrarci.
2. Le Strategie Del Maligno
Il cap.3 del libro
della Genesi ai versetti 1-7 presenta in maniera chiara le strategie del
maligno e la lotta che l’uomo è chiamato ad intraprendere per vivere in
comunione con Dio. La sua strategia consiste nel presentare la volontà di Dio in
maniera perversa e ambigua: “E’ vero che
Dio ha detto: non dovete mangiare di nessun albero del giardino?” (Gn 3,1b).
In realtà Dio aveva detto tutt’altra cosa: ”Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero
della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché quando tu ne
mangiassi, certamente moriresti” (Gen 2, 16). Il serpente, nell’impostare
il suo discorso, elimina con furbizia il concetto di dono dalle parole che Dio aveva
rivolto ad Adamo ed Eva (Tu potrai mangiare) per attirare tutta l’attenzione
sul concetto di divieto. In questo modo, il maligno raggiunge il suo scopo
inducendo l’uomo a considerare Dio un ostacolo alla propria realizzazione.
Paradossalmente si pone come amico dell’uomo, come consigliere fedele per
svegliarlo dalla trappola che Dio ha escogitato per renderlo suo schiavo.
Questa è la menzogna perfetta. E’ interessante notare anche il passaggio
dall’io al voi. Dio infatti aveva detto ad Adamo “Tu potrai mangiare” stabilendo una relazione personale con l’uomo
e la donna. Il serpente dice voi mettendo insieme invece la donna contro Dio (Dio sa che quando voi ne mangiaste). Il
serpente quindi propone all’uomo di auto realizzarsi: essere come Dio senza Dio.
Questa è la stessa strategia che il diavolo usa con Gesù nel deserto quando
senza mettere in discussione la natura divina di Gesù, cerca di proporgli la
via del potere e del messianismo trionfante. La via che Dio propone è
esattamente opposta a quella del demonio, questo infatti propone la divisione,
Dio la comunione. Il serpente è diabolico nel vero senso della parola, poiché diabolos significa colui che si mette in
mezzo per dividere. In sintesi il tentatore agisce nel seguente modo:
ü
Propone un falso volto di Dio, presentandolo come colui che
pone divieti all’uomo
ü
Usa le armi della menzogna, della falsità
ü
Ha lo scopo di dividere l’uomo da Dio, di introdurre nel
cuore dell’uomo l’odio verso Dio.
Tutto questo a motivo
dell’invidia che il maligno nutre nei confronti dell’uomo (Sap2,24); invidia
dovuta al fatto che il creatore si prende cura della creatura umana nella sua
condizione di fragilità e limitatezza. Si presenta come il questionatore, colui che mette nel cuore le domande sbagliate.
Molto spesso, infatti, crediamo che la soluzione ai nostri problemi sia trovare
risposte alle nostre domande. La soluzione invece è cambiare domanda. Quelle
domande non trovano risposta perché sono domande sbagliate, messe nel nostro
cuore solo per confonderci. Il maligno ci propone continuamente tentazioni per
farci deviare dal nostro cammino spirituale illudendoci di progredire. E’ la
parte più difficile da discernere perché siamo convinti di fare la volontà di
Dio mentre in realtà siamo protesi a soddisfare il nostro egoismo.
v RAFFREDDARE LA CARITA’ Il tentatore cerca in ogni modo di condurre il
credente verso la tiepidezza spirituale. Il suo attacco consiste nel separare
il credente dall’amore di Dio, dalla comunione con Dio. Questo può avvenire
creando una sorta di separazione tra il dato soggettivo, l’esperienza di
salvezza e il dato oggettivo, la parola di Dio. Il credente, convinto di essere
amato da Dio, non avverte il bisogno di assumere l’esigenza e la radicalità che
derivano dalla Parola di Dio, da un autentico cammino di discepolato. Questo
atteggiamento determina una sorta di compromesso, nella vita del credente, il
quale si sente appagato spiritualmente perché convinto di essere amato da Dio e
di amare Dio, senza però intraprendere un serio cammino di conversione e di
conformazione alla Parola.
v FALSA DEVOZIONE Questo accade quando si attribuisce un valore assoluto ai
mezzi e non al fine, alle pratiche religiose in sé senza preoccuparsi di
un’autentica crescita nella fede. Il tentatore spinge il credente ad assumere
una forma di religiosità esteriore priva di interiorità per cui si può arrivare
ad assumere anche particolari forme di ascetismo, si può arrivare ad
intensificare momenti di preghiera, ma tutto questo finalizzato all’ottenimento
di una soddisfazione spirituale che riguarda la persona nella sua dimensione
privata e che può, talvolta, scadere in una compensazione psicologica, senza
suscitare nessun processo di cambiamento, di conversione.
v ATTACCAMENTO AL RUOLO L’atteggiamento spontaneo e autentico di mettersi
al servizio degli altri, può essere strumentalizzato dal demonio, portando la
persona a concentrarsi sul bene che fa, cosi da determinare un’eccessiva
considerazione di sé da parte dell’interessato. Questo porta la persona a ritenersi sempre più
indispensabile, a personalizzare il ruolo, sino ad un attaccamento morboso. In
altri termini, la persona crede di valere e di essere degna di stima da parte
degli altri solo se conserva quel ruolo. Lo zelo apostolico non è finalizzato
dunque al bene degli altri, ma all’appagamento personale.
v SENTIRSI GIUSTIZIERI DI DIO Un falso perfezionismo e idealismo spirituale, suscitato
dal tentatore, può portare il credente ad assumere un atteggiamento rigido nei
confronti degli altri che sfoci nell’arroganza di voler difendere Dio contro
gli altri. Gesù smaschera questa tentazione quando invita a vedere la trave che
è nel proprio occhio, piuttosto che la pagliuzza nell’occhio degli altri perché
come dice S. Giacomo nella sua lettera: “Il
giudizio sarà senza misericordia contro chi non ha avrà usato misericordia; la
misericordia invece ha sempre la meglio sul giudizio” (Gc 2,13).
3. Le strategie del tentatore
Attingeremo all’esperienza
dei Padri del deserto, ed in particolare ad Evagrio Pontico, per riflettere non
solo sulle strategie del tentatore, individuando le dinamiche attraverso cui si
sviluppa la tentazione nel cuore dell’uomo, ma anche sulle armi spirituali
necessarie per resistere ai dardi infuocati del maligno.
In particolare
tratteremo:
ü
la lotta contro i
cattivi pensieri
ü
le modalità di azione
della tentazione
ü
come vincere le
tentazioni
Lottare contro i cattivi
pensieri
La tentazione è costitutiva dell’essere umano: tutti noi
siamo tentati e nessuna tentazione ci è estranea! Per i Padri del deserto
questo è talmente vero che il riconoscimento della tentazione e l’assunzione
della lotta sono imprescindibili per la salvezza: “Nessuno, se non è tentato
può entrare nel regno dei cieli, Togli le tentazioni e nessuno sarà salvato
“.
La lotta spirituale consiste, ricordano i Padri del deserto,
nel saper distinguere e rifiutare i cattivi pensieri (loghismos=pensiero), cioè
sentimenti, fantasie, suggestioni che confluiscono nel cuore dell’uomo
allontanandolo dalla volontà di Dio. Per una maggiore comprensione del
travaglio interiore, da parte di chi lotta contro la tempesta dei cattivi pensieri
suscitati dal diavolo, riflettiamo sul testo che riporta l’esperienza di
Antonio il Grande monaco del III sec.
dC:
“Il diavolo, che odia
il bene ed è invidioso, non sopportò di vedere in un giovane tale proposito di
vita e cominciò a mettere in opera anche contro di lui i suoi abituali
intrighi. Per prima cosa cercò di distoglierlo dall’ascesi ispirandogli il
ricordo delle ricchezze, la sollecitudine per la sorella, l’affetto per i
parenti, l’amore per il denaro, il desiderio di gloria, il piacere di cibo svariato
e ogni altro godimento di vita. Infine gli suggeriva il pensiero di come sia
aspra la vita e quali fatiche richieda e gli metteva dinanzi la debolezza del
corpo e la lunghezza del tempo. Insomma risvegliò nella sua mente una grande
tempesta di pensieri perché voleva distoglierlo dalla sua giusta decisione“.
La tempesta di pensieri, che cercava di distogliere Antonio il Grande dal perseguire la volontà
di Dio, è un’esperienza che si ripete nella vita di ciascun battezzato. I
loghismoi, infatti, assediano la mente dell’uomo portando argomentazioni
seducenti e convincenti che lo inducano a fare la volontà del tentatore.
Come agisce la tentazione
I gradi di penetrazione dei pensieri cattivi, secondo la
tradizione dei Padri del deserto, sono quattro:
La suggestione, cioè l’immagine suggerita dallo spirito cattivo;
La suggestione, cioè l’immagine suggerita dallo spirito cattivo;
L’avvicinamento, cioè
il dialogo con l’immagine proposta dallo spirito diabolico ;
Il consenso, cioè il piacere che deriva dall’attrazione che quell’idea, immagine suscita nel cuore;
Il consenso, cioè il piacere che deriva dall’attrazione che quell’idea, immagine suscita nel cuore;
La prigionia, cioè
l’attrazione violenta del cuore a quella suggestione che si configura come abitudine viziosa.
Queste quattro
dinamiche hanno un fondamento biblico: “Ciascuno
piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce, poi la
concupiscenza concepisce e genera il peccato e il peccato quando è consumato
genera la morte” (Gc 1,14-15).
La tentazione, quindi, si affaccia al cuore umano a partire
da “stimoli “che, se anche riguardano oggetti o creature esterne a noi, si
traducono ben presto in attività immaginativa o psicologica. Nel nostro cuore affiora
una suggestione, cioè la possibilità di un’azione malvagia: un’idea, un pensiero,
che sollecitano il nostro immaginario, diventando una suggestione seducente.
Che si tratti di un pensiero malvagio, la cui origine non è da Dio, lo dimostra
un elementare discernimento: esso provoca un turbamento nel nostro cuore, lo
priva della pace e lo consegna all’inquietudine, all’ansia, all’eccitazione.
Come detto in precedenza, già il racconto genesiaco presenta il peccato come
una forza insidiosa pronta a impadronirsi dell’uomo, come una bestia selvaggia
accovacciata che si prepara a balzare sulla preda (Gen 4,7).
Si può anche dire che la suggestione esercita sul cuore
umano un’attrazione simile a quella sessuale, come dice il salmista: “Ecco il malvagio concepisce ingiustizia, è
gravido di peccato e partorisce menzogna” (Sal 7,15). A questa citazione fa
eco quella di Gc 1, 14-15 menzionata prima.
Certo, questi movimenti iniziali sono involontari e si
differenziano da persona a persona in base alla propria storia, alle proprie
tendenze di peccato, dipendono dal nostro modo di vivere. La lotta esige
pertanto come condizione preliminare un habitus di igiene di sensi, di occhi,
di immagini che immagazziniamo e coltiviamo; essa richiede vigilanza sul nostro
immaginario. La particolare suggestione che sorge in noi svela la qualità del
nostro cuore, mostra i desideri e i fantasmi che lo abitano: saper dare il nome
al pensiero che ci seduce significa già entrare in una iniziale conoscenza di
sé e della propria fragilità e predisporsi alla lotta. Una volta vagliata la
qualità malvagia della suggestione, occorre iniziare risolutamente la lotta. Se
il serpente – affermano i Padri, ispirandosi a Gen 3,15 – non viene colpito
alla testa prima che s’insinui nella cella, la lotta diviene assai più faticosa
e forse già perduta. Sì, la tentazione o è vinta o ci vince. Se infatti ci si intrattiene, anche solo
psicologicamente, con la suggestione, e si instaura con essa un dialogo, ecco
che tale suggestione si ingigantisce fino a divenire una presenza assillante
che ci domina e ci priva della libertà interiore; la depressione, infatti
prende le mosse proprio da un pensiero fisso che ci avvince e lentamente ci
toglie la volontà di vivere.
E’ evidente che il dialogo piacevole con la suggestione,
questa consumazione invisibile e interiore del peccato, è poi preludio alla sua
manifestazione concreta in azioni peccaminose (Efrem il Siro). Più
precisamente, il protrarsi compiaciuto di tale dialogo è segno
dell’acconsentimento alla tentazione, uno stadio in cui è definitivamente presa
la decisione di agire come ci suggerisce. “Il
segno dell’acconsentimento è che quel pensiero piace all’uomo, ed egli vi trova
diletto, se ne rallegra in cuor suo e vi pensa volentieri. Al contrario, se si
contraddice il pensiero e si lotta per non accettarlo, non vi è
acconsentimento, ma lotta; e questo rende provato l’uomo e lo fa progredire”.
Quando poi l’acconsentimento si ripete allora si instaura un’abitudine al
peccato, e questo è ciò che i Padri chiamano “passione “: una sorta di assuefazione al vizio.
Le tentazioni hanno lo scopo di far cadere il credente
nell’orgoglio spirituale o farlo soccombere nel peccato di disperazione.
L’orgoglio spirituale scaturisce dalla convinzione, che cerca di inoculare il
diavolo, che Dio è un Dio d’amore “e
perciò non prenderà tanto sul serio il nostro peccato”. Sicuri del suo
amore, pensiamo che non ci può accadere nulla di male. Satana inoltre toglie al
credente la gioia di ascoltare la Parola di Dio riempiendo il cuore di paura
del passato, del presente e del futuro. In tale stato di disperazione il credente
vuole ricevere da Dio una prova inconfutabile della sua presenza, altrimenti,
non vuole più ascoltarlo. Solo lo Spirito Santo può venire in aiuto alla nostra
debolezza, liberarci dall’attrattiva del male e orientarci al bene, verso la
volontà di Dio. “Lottare, combattere e
ricevere colpi è compito tuo, ma sradicare il male spetta a Dio. Se tu fossi in
grado di far questo, che bisogno c’era della venuta del Signore? Come non è
possibile che l’occhio veda senza la luce, né si può parlare senza lingua,
ascoltare senza orecchie, camminare senza piedi, lavorare senza mani, così
senza Gesù non si può essere salvati né entrare nel Regno dei Cieli” (Pseudo
Macario, Omelia 3,3-4).
Come vincere le
tentazioni
Consapevole della dinamica appena descritta, il credente
deve prepararsi alla lotta spirituale, perché questa è la condizione
preliminare per ottenere qualche risultato. Le tentazioni, dicono i Padri del
deserto, si vincono attraverso la custodia del cuore, una vita sobria, la
vigilanza spirituale, la preghiera perseverante. “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione” ci dice Gesù in
Mc14,38. La vigilanza è l’arma per eccellenza in questa lotta, è la matrice di
tutte le virtù cristiane perché tempra il credente facendone una persona capace
di resistere, di combattere, di nutrire e di difendere la propria interiorità.
La vigilanza immette il credente in uno stato di lucidità spirituale per
discernere la presenza del Signore e di apertura per fare spazio in sé per la
sua venuta. L’uomo vigilante è colui che è presente a sé stesso, a Dio e agli
altri. Non cerca fuori di sé le motivazioni del suo agire, è capace di
discernimento, di assunzione di responsabilità, di amore maturo, di pazienza.
Questo è l’homo vigilans. In
alternativa abbiamo l’homo dormiens
che vive sotto il segno della paura e del torpore; teme la fatica e il dolore
di conoscere se stesso, vive in superficie, è pigro e negligente; preferisce impegnare
le sue energie in tante attività piuttosto che affrontare la fatica della
discesa nel cuore.
Essere vigilanti nella custodia del cuore. Dice S.
Francesco di Sales nella Filotea : ”I
nostri Padri , udendo il Signore che dice nel santo Vangelo che dal cuore dell’
uomo escono i pensieri cattivi, omicidi, adulteri, fornicazioni…e che questo
contamina l’uomo, e udendolo ordinarci di purificare l’interno del bicchiere,
affinché anche l’esterno divenga puro, lasciarono ogni altra opera spirituale e
lottarono con tutte le loro forze per questa sola opera, cioè la custodia del
cuore, perché erano convinti che insieme a quest’opera avrebbero acquisito ogni
altra virtu’. In questa dura lotta occorre munirsi di altre armi spirituali”.
Ricordiamo l’armatura che ci indica S. Paolo nella lettera agli Efesini: lo
scudo della fede (la lotta si fonda sulla fede nella resurrezione di Gesù Cristo
che ha sconfitto la morte e il peccato), l’elmo della speranza nella salvezza,
la spada dello Spirito che è la Parola di Dio. “La meditazione della parola di Dio è simile a una tromba che tiene il
tuo cuore desto per il combattimento, affinché tu non dorma mentre il tuo
avversario veglia (Origene, Omelie
su Giosuè 1,7). Per questo i Padri del deserto, che conoscevano la Bibbia a
memoria, consigliano di ricorrere alla Parola di Dio per contraddire la
tentazione, rigettare cioè i cattivi pensieri ricordando un brano biblico
opposto alla tentazione, “grande
sicurezza contro il peccato è la lettura delle Scritture”. Non si tratta di
fare cose straordinarie, ma semplicemente dare unità alla nostra giornata
mediante la memoria di una Parola di Gesù, certi che l’azione di quella Parola
trasfigura tutto il nostro essere. Strettamente legate alla Parola sono la
preghiera e l’invocazione allo Spirito. Chiedere il dono di un cuore capace di
ascolto e invocare il Padre chiedendogli di non indurci in tentazione e
liberarci dal male. Non dovremmo poi dimenticare l’importanza di avere un padre
spirituale. E’ puramente illusorio pensare di poter affrontare da soli con
successo questa lotta. L’arte della lotta richiede una trasmissione: la si
impara soltanto da un maestro spirituale, da una persona che ha sperimentato a
lungo su di sé la lotta. La lotta richiede poi la disponibilità ad affidarsi
alla misericordia di Dio, credendo più ad essa che all’evidenza della miseria
della nostra vita. Non è certamente lo sforzo umano a ottenere la vittoria, ma
la grazia di Dio che, attraverso la morte dell’uomo a sé stesso, agisce in lui
e lo vivifica. Nessuna presunzione nel combattimento spirituale: l’unico nostro
merito può essere quello di predisporre tutto perché Dio agisca in noi. La vita
del cristiano può solo essere “vita di
conversione in atto” un continuo cedere alla Grazia che ci attira e ci
salva; lo Spirito Santo che abita in noi non è solo Maestro di questa lotta, ma
è Lui stesso a lottare in noi, rinnovando sempre la nostra persona affinché
possa essere, nonostante le nostre contraddizioni, dimora di Dio.
4. Le tre “passioni madri”
Se quanto visto fin qui concerne la
lotta spirituale in generale, scendiamo ora nello specifico, a partire da
quelle che possono essere definite le tre “passioni madri” di tutti i nostri
peccati e che si collocano alla radice dei vizi capitali. Queste passioni sono
ben descritte in tre brani della Scrittura: il racconto della tentazione alla
quale soccombono il primo uomo e la prima donna (Gn 3,1-6); la narrazione delle
tentazioni affrontate vittoriosamente da Gesù (Mt 4,1-11; Lc 4,1-13) la
descrizione della lotta contro la mondanità cui il cristiano è chiamato (1Gv
2,15-16).
LA PAURA
DELLA MORTE E LA PHILAUTIA (AMORE DI SE’)
La tentazione e il peccato sono
certamente da porre in relazione con l’ambiente storico, culturale, sociale in
cui ciascuno di noi si trova a vivere. Vi è però qualcosa di ancor più profondo,
che attiene all’interiorità dell’essere umano. Esiste infatti in ognuno una
tendenza egoistica, un’inclinazione peccaminosa: è quella disposizione
interiore che oppone resistenza al dono di Dio, definita nel N.T. col termine “carne “(Gv 3,6; 6,63; Rm 6,19 ecc). La
tradizione cristiana ha efficacemente parlato in proposito di philautìa , cioè amore di sé;
una preoccupazione esclusiva per se stessi e per il proprio interesse che
induce a considerare il proprio io come misura della realtà e degli altri. Abbiamo cioè una visione delle cose illusoria,
un’immagine di noi stessi, degli altri - e dunque anche di Dio - che non
corrisponde alla realtà, ma è solo un parto della nostra mente. Al contrario,
accettare la realtà di noi stessi e degli altri, significa accettarne i limiti,
elaborare il lutto dei nostri sogni . Ma qual è il motivo profondo di questa
philautìa? Un brano della lettera agli Ebrei può venire in nostro aiuto:
Gesù è divenuto partecipe
del nostro sangue e della nostra carne, per ridurre all’impotenza mediante la
morte colui che della morte ha il potere , cioè il diavolo, e liberare così
quelli che per timore della morte sono soggetti schiavitù per tutta la vita (Eb
2,14-15).
Durante
tutta la nostra vita , infatti patiamo la paura della morte e questa esperienza
ci domina, ci aliena. La paura della morte è realmente schiavizzante, è la
radice di tutte le altre paure; la morte non è solo l’ultimo istante di
vita biologica, ma è una forza costantemente all’opera nella nostra vita: si
manifesta sotto forma di sofferenza, malattia, separazione, fine di tutto ciò
che per noi è vitale. La morte, dunque non è solo “salario del peccato”(Rm 6,23), ma anche istigazione
al peccato: è infatti proprio la paura della morte che ci spinge a cercare
vita nel peccato; è la schiavitù in cui ci avvince tale paura ad essere causa
del male e del peccato. In breve: mosso
dalla paura della morte, l’uomo vuole preservare con qualsiasi mezzo la propria
vita, vuole possedere per sé i beni della terra, vuole dominare sugli altri.
Ritiene di poter combattere la morte con l’autoaffermazione e giunge a
considerare giusto ogni comportamento finalizzato a questo scopo. Questo è il
terreno in cui può fiorire ogni sorta di tentazione : “La philautìa è causa
di tutti i pensieri passionali ….è principio di tutte passioni“ (Massimo il Confessore). Se
la philautìa conduce l’uomo alla morte, alla schiavitù, la lotta spirituale
mira a restituirlo alla libertà, la libertà dei figli di Dio di cui parla il
Vangelo .
Il
racconto delle origini presentato nella Genesi testimonia l’importanza che la
paura della morte riveste nel processo di tentazione e caduta dell’uomo e della
donna. Dopo averlo creato a sua immagine e somiglianza (Gn1,26-27), Dio si era
rivolto all’uomo in questi termini: “Tu
potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della
conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, perché qualora
ne mangiassi, certamente moriresti” (Gn2,16-17). Questo comando, volto a
insegnare alla creatura che la sua libertà è tale all’interno di un limite , innesca
invece in lei il meccanismo della frustrazione. Ed è proprio su questo limite
che fa leva il tentatore: “Non morirete
affatto! Anzi Dio sa che, qualora ne mangiaste i vostri occhi si aprirebbero e
diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male“ (Gn3,4-5). Dalla paura
che la prospettiva della morte ha immesso nella donna, passando attraverso il
dialogo interiore con la suggestione, si giunge a una contro- verità che si
accompagna ad una nuova visione della realtà:
”Allora la donna vide che l’albero
era
buono
da mangiare,
appetitoso
agli occhi ,
e desiderabile per acquistare
sapienza/potere“ (Gn 3,6).
L’ansia di immortalità,
onnipotenza e onniscienza insieme all’incapacità di accettare il proprio limite
creaturale, spinge a considerare il mondo esterno come una preda di cui
impossessarsi .
Così, l’uomo e la donna
acconsentono alla tentazione di contraddire la comunione voluta da Dio, e
finiscono per cadere nella disobbedienza al loro Creatore.
Ad Adamo si contrappone il nuovo
Adamo, Gesù di Nazareth, nato da donna e da Spirito Santo, anche Lui, tentato
come ogni uomo che viene nel mondo ma “senza
commettere peccato” (Eb4,1).
Gesù
è il nuovo Adamo perché là dove Adamo è
caduto, Gesù ha lottato e ha vinto .
Gli evangelisti ci aiutano a
capire come il Figlio di Dio ha affrontato e vinto le subdole strategie del
maligno. Mediteremo il Vangelo di Luca
che, come Matteo , semplifica in numero di tre le tentazioni subite da Gesù nel
deserto (Lc 4,1-13; Mt 4,1-11) e che riguardano:
§ La dimensione creaturale – mutare
le pietre in pane
§ La dimensione temporale –
possedere i regni della terra
§ La dimensione della fede –
gettarsi dall’alto del tempio
Vedremo
come Gesù si libera di Satana per liberare da Satana .
La perversione della dimensione creaturale
“SE SEI FIGLIO DI DIO,DI’ CHE
QUESTI SASSI DIVENTINO PANE” - così comincia la prima tentazione : se sei
figlio di Dio…- sentiremo queste parole ancora sotto la croce. Questa richiesta
di prove pervade tutto il corso della vita di Gesù: gli viene continuamente
obiettato di non aver dato sufficienti prove su chi è o non è. E questa
richiesta rivolgiamo anche noi a Dio, a Cristo, alla Chiesa: se esisti o Dio
allora devi mostrarti; devi squarciare la nube del nascondimento. La prova
dell’esistenza di Dio che il tentatore propone nella prima tentazione consiste
nel trasformare le pietre in pane. Posto di fronte alle lusinghe di Satana,
Gesù reagisce attraverso un atteggiamento di radicale obbedienza a Dio
rimanendo sottomesso alla propria condizione umana, non si affida al miracoloso
ma rimane fedele alla fragilità umana. “ Pur essendo di natura divina non considerò
un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ma spogliò se stesso assumendo la
condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana
umiliò se stesso fino alla morte e alla morte di croce.” (Fil 2,6-8).
All’innalzamento di sé di Adamo
risponde l’abbassamento di Gesù, che giunge all’umiliazione e alla vergogna
della croce. Se Adamo ha voluto ambire ad essere come Dio disobbedendo al
Creatore , Gesù Cristo ha percorso il cammino opposto stendendo le braccia sul
legno della croce per offrire la sua vita per amore. L’arma con cui Gesù
combatte la sua lotta e perviene alla vittoria è la piena sottomissione alla
Parola di Dio, come mostra il fatto che Egli risponde all’avversario solo
con le parole della Scrittura .“NON DI SOLO PANE VIVE L’UOMO…. SOLO AL TUO DIO
TI PROSTRERAI …”.
L’insegnamento che possiamo trarre
da questa vittoria sulla prima tentazione consiste nel comprendere che la vita
umana non è un fatto puramente biologico, non dipende dalla soddisfazione
immediata dei bisogni, ma dalla relazione con Dio all’interno della fragilità
umana. Vivere della Parola di Dio, non lasciarsi sedurre dal tentatore
significa saper discernere ciò che è essenziale da ciò che è insignificante,
riempitivo. Dobbiamo opporci alle false illusioni e riconoscere che non
viviamo di solo pane ma anzitutto dell’obbedienza alla Parola di Dio. Ascoltare Dio diventa vivere con Dio, e
conduce dalla fede all’amore, alla scoperta dell’altro. E solo dove si vive
questa obbedienza nascono e crescono quei sentimenti che permettono che ci sia
pane per tutti.
La perversione della dimensione temporale della
condizione umana
La
seconda seduzione diabolica è quella del suscitare la brama del possesso che fa
leva sul fascino perverso dell’avere “ tutto e subito”:
“gli mostrò tutti i regni in un attimo di
tempo “ (Lc 4,5).
Per vincere questa
tentazione bisogna sviluppare la virtù della pazienza.
La pazienza è la capacità di saper sopportare la distanza dalle cose per non
vivere secondo la logica del possesso: è l’arte dell’attesa, del silenzio,
dell’accettazione matura del passare del tempo per acquisire la sapienza del
cuore. I mali del nostro tempo, depressione, ansia, sono radicati nell’incapacità
di accogliere i propri limiti. La
pazienza quindi si sviluppa in noi attraverso un cammino di riappacificazione
tra i nostri e gli altrui limiti.
“NOI
CI VANTIAMO ANCHE NELLE TRIBOLAZIONI, BEN SAPENDO CHE LA TRIBOLAZIONE PRODUCE
PAZIENZA, LA PAZIENZA UNA VIRTU’ PROVATA, LA VIRTU’ PROVATA LA SPERANZA” (Rm
5,3-5).
Rigettare la logica del ” tutto e
subito “ significa considerare il tempo come Kairòs, come tempo favorevole,
tempo di grazia per fare esperienza dell’amore di Dio. Gesù non si lascia
affascinare dal potere perché sa bene che la vera libertà non dipende da ciò
che si possiede ma da ciò che si è.
La spettacolarizzazione della fede
Il tentatore, infine propone a
Gesù di utilizzare il tempio, luogo di culto per eccellenza, come spazio per
impressionare il popolo mediante “effetti speciali” così da costringere tutti a
credere
(Lc 4,12b). Il maligno cerca di
presentarci un Dio a nostra completa disposizione, pronto a soddisfare le
nostre attese; sempre pronto a intervenire, a risolvere i nostri problemi, a
elargire guarigioni.
La risposta di Gesù a questa
tentazione la conosciamo bene:
“NON TENTERAI IL SIGNORE DIO TUO”.
Questo è un tema estremamente
attuale e riguarda una certa “voracità spirituale” che non è in grado di
distinguere l’autentica esperienza spirituale da tutto ciò che è invece
puramente emozionale, sentimentale,
psicologico, secondario rispetto alla fede cristiana .
Chi acconsente a questa tentazione,
generalmente ritiene credibile tutto ciò che in qualche modo è possibile
toccare, verificare , in totale contrasto con ciò che è la fede:
LA
FEDE E’ FONDAMENTO DELLE COSE CHE SI SPERANO E PROVA DI QUELLE CHE NON SI
VEDONO (Eb11,1).
Vivere, come ricordano molti
santi, ” la notte oscura della fede”, perseverare senza segni tangibili, è
certamente una tappa inevitabile nel cammino di conversione. Credere significa
stabilire un rapporto filiale con Dio Padre convinti che Lui non realizza le nostre
attese ma le sue promesse.
Gesù non ha “utilizzato”, come
invece fa il tentatore, la Parola per mettere alla prova Dio, ma si mette in
ascolto di essa, per fare la volontà del Padre.
Le tre tentazioni, tratte dal
Vangelo di Luca, cercano di sviare l’uomo dal fare la volontà di Dio per
indurlo a fare la sua volontà cioè tutto ciò che è contrario alla volontà del
Padre.
Gesù nell’affrontare le tentazioni
ha dimostrato che per vincere contro il maligno bisogna:
ü Rimanere saldi nell’ascolto della
Parola di Dio;
ü Vivere in pienezza la condizione
creaturale;
ü Considerare il tempo come
possibilità offerta da Dio per crescere nella comunione con Lui e con i
fratelli;
ü Perseverare nel cammino di fede
nonostante le aridità spirituali e la mancanza di segni.
5. I sette vizi capitali
Il CCC al punto 1865 dice: IL PECCATO TRASCINA AL PECCATO,
CON LA RIPETIZIONE DEI MEDESIMI ATTI GENERA IL VIZIO …
1866: SONO CHIAMATI CAPITALI PERCHE’ GENERANO ALTRI VIZI
1868: IL PECCATO E’ UN ATTO PERSONALE. INOLTRE ABBIAMO UNA
RESPONSABILITA’ NEI PECCATI COMMESSI DAGLI ALTRI QUANDO VI COOPERIAMO:
- PRENDENDOVI PARTE DIRETTAMENTE E VOLONTARIAMENTE
- COMANDANDOLI, CONSIGLIANDOLI, LODANDOLI O APPROVANDOLI
- NON DENUNCIANDOLI O NON IMPEDENDOLI, QUANDO SI E’ TENUTI A
FARLO
- PROTEGGENDO COLORO CHE COMMETTONO IL MALE
1869: COSI’ IL PECCATO RENDE GLI UOMINI COMPLICI GLI UNI
DEGLI ALTRI E FA’ REGNARE TRA DI LORO LA CONCUPISCENZA, LA VIOLENZA,
L’INGIUSTIZIA …
I SETTE VIZI ELENCATI DAL CCC SONO: SUPERBIA, AVARIZIA,
INVIDIA, IRA, LUSSURIA, GOLOSITA’, PIGRIZIA O ACCIDIA.
1. LA SUPERBIA
Secondo Gregorio Magno è la radice di ogni male e attacca
tutte le virtù, si oppone alla Parola di Dio che dice:” Chi si innalza sarà
abbassato e chi si abbassa sarà innalzato” (Mt 23,22). Il superbo vuole
primeggiare, cerca l’approvazione dell’uomo e non di Dio, si applica alla virtù
solo per la propria gloria, da più importanza al fare che all’essere. E’
difficile da discernere perché si mescola con opere virtuose, mascherando un
enorme Super Io, sotto le spoglie della generosità. Richiede un combattimento
spietato, bisogna chiedersi: “Per chi e per cosa agisco?”. “Come potete
credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria
che viene da Dio solo?” (Gv 5,44).
Evagrio Pontico dice: “Il demone dell’orgoglio è quello che
conduce alla caduta più grave. La incita infatti a non riconoscere l’aiuto di
Dio, ma a credere sia lei stessa la causa delle proprie azioni buone, e a
guardare dall’alto in basso i fratelli ritenendoli degli stupidi, dato che
nessuno di loro sa quanto lei”. Il superbo pensa che il bene ci viene
dall’altro per i nostri meriti, spesso si vanta di avere quello che non ha, non
è mai contento di quello che fanno gli altri. Il fariseo nel tempio che fa
l’elogio a se stesso, incarna perfettamente questo vizio (Lc 18,11-12),
Spesso il Signore fa subire umiliazioni al vanaglorioso
perché, come dice Giovanni Climaco: “L’umiliazione è la virtù che elimina tutte
le passioni”. L’umiliazione è la madre di tutte le virtù.
2. L’AVARIZIA
L’avaro è un infelice perché:
-
Fatica ad accumulare le cose desiderate
-
Teme la conservazione dei suoi beni
-
Soffre nel perderli
San Francesco chiama il denaro lo sterco del demonio perché ogni azione dell’avaro puzza di
denaro. Quello che rovina non è il fatto di possedere, ma di restare attaccati
a ciò che si possiede. Un detto dei Padri della Chiesa invita a gettare lontano
l’oggetto dell’attaccamento per insegnare al pensiero a rimanere attaccato solo
a lui.
Secondo Massimo il Confessore sono tre le cause
dell’attaccamento:
-
Amore per i piaceri
-
Vanagloria
-
Mancanza di fede
Per vincere occorre una lotta quotidiana che deve tendere
alla comunione e sul campo di battaglia sperimentiamo la misericordia di Dio,
che sempre ci viene incontro mentre ancora siamo lontani da Lui (Lc 15,20)
3. L’INVIDIA
Figlia della frustrazione, è l’unico vizio che non procura
piacere, l’invidia è un sentimento da tenere nascosto e non si può avere il
conforto di parlarne con qualcuno perché svelerebbe la parte più meschina di
sé, perché parlare della persona che si invidia significherebbe parlare di se
stessi, delle aspirazioni, dei fallimenti personali e delle proprie difficoltà.
Il Libro della Sapienza ci ricorda che: “La morte entra nel mondo per invidia
del diavolo” (Sap 2,24). L’invidia nasce dalla grandezza dell’altro non accolta
(Caino-Abele, Saul-Davide). Diventa elemento di confronto e di sconfitta.
L’invidia permette a chi è incapace di valorizzare se stesso una salvaguardia
di se stesso demolendo l’altro, oltre ad essere un vizio, è un meccanismo di
difesa. La strategia dell’invidiosa consiste nello svalutare persone
considerate migliori di se stessi. L’invidioso è carnefice di se stesso e di
chi gli sta vicino (San Pietro Crisologo).
Antidoto è la gratitudine.
4. L’IRA
E’ un annebbiamento dello sguardo sulle persone e sulle cose,
è la perdita del controllo di sé, è una sorta di nuvola scura che infittisce il
cuore, rende oppressi e toglie discernimento, cioè la capacità di valutare in
modo veritiero ed equilibrato. Secondo Giovanni Damasceno l’ira si manifesta
come collera, sdegno, rancore e quindi da una reazione non dominata si
trasforma in vendetta.
Per sconfiggere l’ira bisogna porsi la domanda: Chi è l’altro
per me? L’altro è “un fratello per cui Cristo è morto” (1 Cor 8,11).
Dio ci comanda quando siamo stati offesi, di perdonare e di
riconciliarci con i nostri fratelli e di non serbare memoria dell’offesa e del
torto ricevuto, ma anche quando sappiamo che nutrono rancore nei nostri
confronti giusto o ingiusto che sia, ci comunica di lasciare la nostra offerta
per andarci a riconciliare (Mt 5, 23-24). Se permettiamo all’ira di trasformare
la pagliuzza in trave l’ira si trasforma in odio.
L’arma vincente è la preghiera, come dice Massimo il
Confessore:” Prega per lui e frenerai la passione che ti turba”. Anche il canto
calma l’ira, non a caso si dice “Canta che ti passa”. Chi è nell’ira ha
“brevità di respiro” (Pr 14,17).
5. LA LUSSURIA
La madre della lussuria è l’ingordigia. Anche questo è un
vizio del corpo che porta alla ricerca del piacere fine a se stesso, avulso
dall’armonizzazione della totalità della persona, dal cammino di comunione tra
donna e uomo. Entrambi i vizi tolgono la libertà perché si diventa schiavi
degli idoli. Ci viene come sempre in aiuto la Parola che ci ricorda che il
nostro corpo è tempio dello Spirito Santo (1 Cor 6,13-19), Parola che ha
convertito Suor Anna Nobile.
6. LA GOLOSITA’
L’avidità è la colpa, perché non frena gli eccessi. Ci sono
tre tipi di ingordigia:
-
Tende ad anticipare l’orario fissato per il pasto
-
Si compiace di riempire e di saziare, qualsiasi cosa essa sia
-
Cerca solo cibi e bevande raffinati
Chi sa dominare lo stomaco, sa dominare anche le passioni,
perciò la golosità è considerata l’origine delle passioni. Alcune volte il
rapporto sbagliato con il cibo è indice di turbamenti affettivi come la bulimia
e l’anoressia.
Per passare dalla logica del consumo a quella della
comunione, in modo che mangiare e bere siano azioni che riconoscono la gloria
di Dio, occorrono:
-
Sobrietà quale giusta misura
-
Temperanza quale limite intelligente
-
Riconoscenza, perché il cibo è sempre qualcosa per cui ringraziare
-
Giustizia perché il cibo è da condividere con chi non ne ha
7. LA PIGRIZIA O L’ACCIDIA
Impedisce il dinamismo dell’amore e dell’essere amati. Il
pigro difetta sia in forza fisica che in vigore dell’anima. E’ incapace di
portare a termine ciò che intraprende. La sua domanda più ricorrente è: “Chi me
la fa fare?”. Il pigro per evitare quello che gli è richiesto, si costruisce
alibi: deve fare altre cose che ritiene gli si confanno.
L’accidia attacca chi ha un cuore piccolo. San Paolo scrive
che gli amanti di se stessi, non possono essere amanti di Dio (Tm 3,2-4).
Mezzi per combatterla sono:
- Coltivare la vita interiore
- Fissarsi degli obiettivi e portarli a compimento con perseveranza,
perché come dice la Parola :“Con la vostra perseveranza guadagnerete la vostra
vita” (Lc 21,19)
-
Invocazione del nome di Gesù
-
Preghiera, assiduità alle Sacre Scritture e ai Sacramenti
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